Marietta Salvadori fu una delle figlie “adottate” da Rutilia Bonifazi Bucci a Carpegna. Doveva essere una pratica caritatevole abituale per lei quella di occuparsi di orfani o persone poco abbienti del territorio visto che fra le sue carte spesso si annoverano pasti pagati ai carcerati e, appunto, l’accudire ragazze sole, cosiddette “trovatelle”.
Alla morte della sua benefattrice, avvenuta nel maggio 1919, Marietta fra le lacrime si fa viva con una lettera a Giuseppe Bonifazi, rivendicando un presunto lascito della sua madrina consistente in alcuni bauli di biancheria e qualche mobile e suppellettile. Si è sposata con Giovanni Lazzarini di Carpegna e ha i figlioli Nazzareno, Emilio (invalido) e Giuseppe. Ha ereditato da Rutilia anche la sua occupazione, quella cioè di prendersi cura, dietro compenso, di qualche trovatello del locale orfanatrofio e di bambini che vengono mandati a dozzena da lei.
Scrive a Giuseppe: “Il 10 novembre 1920 diedi alla luce una bambina assai robusta che le mettemmo il nome della nostra indimenticabile Rutilia, mia seconda madre che a dirle il vero la piccina, oltre il nome che porta, è tutta il suo ritratto meno che ha l’occhietti neri ed i capelli biondi”
Fra una notizia e l’altra, Marietta chiede sempre denaro che promette di restituire o garanzie per fidejussioni bancarie, ora per l’andamento delle cose di casa ora per presunti fruttuosi investimenti: è probabile che Giuseppe abbia continuato a seguire i suoi interessi e ad amministrare il suo piccolo patrimonio.
L’1/3/ 1921 la piccola Rutilia è già morta da un mese “.. le rendo noto che lo scorso mese dopo 5 giorni di penosa malattia è morta l’amata mia bambina che tanto mi ha recato dolore specie che portava il nome di colei che mi tenne il luogo di madre ed ora sono priva anche della cara piccina…”: è vissuta solo tre mesi.
Dopo un periodo di silenzio giunge a Giuseppe una cartolina da Tripoli:
“19/10/1922 Pregiatissimo sig. Giuseppe, fin dal 14 sono giunta costà a Tripoli dopo un viaggio disastroso, ma (per) l’ardente desiderio di vedere il figlio ò tutto affrontato: lo scontro del treno diretto proveniente da Napoli che vi ero io ed il direttissimo che le ambedue macchine si sono intoccate. Grazie a Dio si costatavano due feriti gravi e 8 leggieri.
La sera dell’11 imbarcai a Siracusa ed ebbi un po’ il mare grosso ma (per)l’ardente desiderio di rivedere il figlio giunsi di sera…fortunatamente va molto migliorando e spero col piroscafo postale di sabato venturo potere imbarcare col figlio che verrà in convalescenza. Ora mi trovo sempre qui senza uscire dal padiglione ammalati: mangio(e) dormo costì e presto ogni cura al figlio. Senta se à occasione di andare a Pesaro mi raccomando di procurare per Peppino: questo qua è vero e volontario, ma è dispensato da ogni servizio dunque sarà facile che venga disciolto dalla ferma e di certo si pò ottenere il ritorno di Peppino per l’invalidità di Emilio. Mi raccomando io amo troppo, benchè ingrati, questi figli, io per loro darei la mia vita.
Quale pietà veder morire fiori di giovani col nome de’ suoi cari: dopo che son io qui ne ho visti 6 morire.
Grazie a Dio sono curati: vi sono li Arcù cioè i neri (che) hanno molto più cura dei nostri soldati infermieri per i poveri malati. Quanti costumi qua anno li arabi! Gli Arcù, i mori, specie il vestiario delle donne.
Per me tutto è nuovo e poi io ancora non ò visto la vita che, fin che non sta meglio il figlio, non sorto… Io sto bene e se crede solo occuparsi per Peppino e scrivere a mio marito. Se à qualche cosa a chiedere questo è l’indirizzo di Peppino: soldato Salvadori Giuseppe 7 reggimento artiglieria pesante campale 7 batteria Terni Prov. Perugia. Saluti da Emilio cose care da me ringrazio di tutto, la riverisco e sono obbligatissima Marietta.”
Solo per Natale, dopo mille peripezie, Marietta e il figlio Peppino riescono a tornare a Carpegna; Marietta si ritrova all’inizio del nuovo anno (il 1923) piena di debiti contratti dal marito e dai figli rimasti a casa ed è costretta a batter cassa ancora da Giuseppe, accennando che “ò trovato uno scritto di valore a mio carico ed in allora faremo i conti in pieno accordo se crede perchè le sostanze lasciateci dalla nostra compianta defunta di lei sorella e mia santola sono a parte di qualcosa anch’io.”
Sarà vero? Giuseppe Bonifazi l’accontenterà dandole denaro ancora una volta in cambio di un po’ di lana o di polenta?
In ogni caso, il suo benefattore ed amico Giuseppe potrà aiutarla solo fino alla primavera del 1924 perchè nel giro di pochi mesi, dopo una veloce operazione nell’ospedale di Ancona renderà l’anima a Dio a soli 63 anni.
Archivio Bonifazi Faldone 3 , cart.B1