NOTARELLE SU NICOLA GAMBETTI GUARITORE

NOTERELLE INTORNO ALLA FIGURA DI NICOLA GAMBETTI GUARITORE

(Lorenza Bonifazi)

Da tempo immemorabile fa parte dell’archivio di famiglia uno scritto che desidero sottoporre all’ attenzione dei lettori alla luce dei numerosi studi[1] e delle frequenti manifestazioni che si stanno sviluppando intorno alla figura di Nicola Gambetti (Monterotondo (Ar) 1832-1921), guaritore dell’alta Val Marecchia, noto in tutta la valle occupata dalle attuali province di Rimini, Forlì-Cesena e Arezzo e conosciuto anche in altre parti d’Italia soprattutto per un evento “miracoloso” avvenuto niente po’ po’ di meno che nella famiglia reale d’Italia nel 1914.[2]

Trascrizione letterale dello scritto[3], vergato fronte/retro su un unico foglio, senza busta

Pregiat.mo Sig.re

Tempo fa mi significò il P. Emidio da Fano, che V. S.ria desiderava la ricetta per fare l’elesire per il male de calcoli e renelle. Ora che si approssima il sol Leone mi prendo cura di servirLa ed eccole descritta la ricetta e il modo do fare uso del d.o balsamo.

Per fare un quantitativo che basti da un sol Leone all’altro, si prende una libbra e mezzo di spirito di terza, si pone in una boccia di vetro e poi quando saranno scorsi due o tre giorni di sol Leone, si prende un capo d’aglio che abbia la scorza tendente al rosso, e un pugno di Ipericon ben fiorito, e un pugno di edera terrestre; se le dà una mezza pistata in un mortajo, poi si mette in infusione in d.o spirito; così ben sigilata la boccia si fa stare al sole fin tanto che dura il sol Leone, indi si cola e si conserva quanto uno vole.

Il modo d’usarlo è questo. Si fa bolire in un pignattino un pugno di malva e un pugno di foglie di viole silvestre, poi colato in una tazza vi si stempre dentro tanto di elisrre quanto cupisce nel concavo di un cucchiajo, e così da digiuno si prende ogni quarto di Luna.

Sul primo però sarebbe bene usarlo una decina di giorni affilati. Chi sofre il male de calcoli, è necessario che nel cibarsi si guardi di non far uso di carne di majale, non bevi vino cotto e dolce e non mangi frutti arenosi.

Se mai altro le occorresse dalla mia debole persona, comandi che mi pregio poterla servire. E riverendola con distinta stima mi protesto

Di V. S. Ill.ma

U.ma D.ma Serva                                                                                                                         

Rosa Pacei

Maciano 6 luglio 1828

 

Non si sa dunque a chi Rosa Pacei (o Pacci o Succi) da Maciano indirizzi la lettera ma si potrebbe pensare, essendo stata trovata fra le carte appartenute ad Alessandro Sante Gambetti, che fosse proprio lui il destinatario della ricetta per chi patisce di calcoli, anche perché Rosa fa riferimento a Padre Emidio da Fano M(inore) O(sservante)[4], la cui presenza è testimoniata da quattro lettere che il frate indirizza proprio a Sante fra il 17 gennaio e il 16 ottobre del 1825[5].

Era quindi, questo frate, una persona conosciuta da entrambi: dalle lettere si evince che il religioso venne comandato dal suo Vescovo di uscire dal convento di Santa Maria Nuova in Fano per predicare la Quaresima a Mercatino e nei paesi limitrofi (Talamello, Casteldelci, Maciano, Sartiano). In una lettera del 17 gennaio a Sante gli comunica, ringraziandolo, che avrebbe soggiornato da lui a Mercato di Talamello[6] . Soggiornando in casa di Sante a Mercatino entrò in amicizia con lui, con la moglie Caterina Paggetti e con le figlie Marina e Marianna. Amicizia e stima ricambiate, tant’è che l’anno seguente Padre Emidio sarà di nuovo a predicare a Sant’Agata e non tralascerà di incontrare il suo amico.

Ecco, quindi, che qualche anno dopo è proprio Padre Emidio che, durante uno dei suoi pellegrinaggi per le predicazioni nella valle, sollecita Rosa a inviare la ricetta a Sante che forse soffriva di questa patologia o forse ne soffriva qualcuno di famiglia.

Dove l’aveva trovata Rosa Pacei questa ricetta? Chi le aveva dato indicazioni così esatte e scrupolose perfino nei dettagli di come impiegare il medicamento stesso? La lettera mi sembra una prova inconfutabile che la diffusione di questi rimedi era piuttosto estesa, che queste pratiche mediche erano conosciute e condivise con una certa libertà, non dubitando che facessero bene e senza timore che potessero viceversa, nuocere ai pazienti. Un po’ come si fa oggi, con una certa leggerezza, consigliando un certo medicinale senza passare dal medico, ma soltanto facendo appello alla propria esperienza di guarigione.

Che sia proprio la Pacei in persona la dottoressa/guaritrice? Credo piuttosto che Rosa trascriva ricette che ha appreso da altri.

A sua volta, credo che Alessandro Sante Gambetti si senta in dovere di trascrivere la ricetta in maniera meno elementare ed approssimativa: infatti, a fianco della lettera accompagnatrice di Rosa, trovo la ricetta più chiaramente trascritta in modo da poterla utilizzare ed eventualmente diffondere[7]. La grafia corrisponde a quella di Alessandro, a me nota da moltissimi suoi manoscritti che possiedo e recita:

Ricetta per fare un Certo Elexir per chi patisce di Calcoli

Il secondo o terzo giorno di Sol Leone si coglie un pugno d’Ipericon ben fiorito, ed un pugno di edera terrestre, ed un Capo d’aglio, che abbia la scorza tendente al rosso; si pista tutto insieme un poco in un mortajo, poi si mette tutta la Dose in infusione in una Boccia di Vetro con una libra di spirito di vino di terza ripassata, e ben sigillata si tiene al sole fino alli Venti di Agosto. Quindi si cola e si conserva quanto si vuole.

Modo di far uso dell’Elexir sudescritto

Si fà bollire per un quarto d’ora in un Pignattino un Pugno di foglie di Malva ed un Pugno di foglie di Viole silvestre, poi colato in una tazza ci si stempra dentro tanto d’Elexir quanto stà nel concavo di un Cuchiajo, e così tiepido si beve. Sul primo si prenderà per sei o sette mattine affilate, poi in seguito, finchè vive, chi patisce di calcoli lo userà ogni quarto di Luna indispensabilmente e spero che sarà guarito a perfezione. Convien però che si guardi dal mangiar carni salate, dal bere vini cotti, o dolci, come pure dal mangiar frutti arenosi, e dal sovverchio riscaldarsi.

 Come si può vedere non ci sono sostanziali differenze, ma tutto è registrato con maggiore ordine e rigore oltre che una maggiore partecipazione soprattutto nell’ultima parte, piena di raccomandazioni e speranza verso la guarigione del malato.

La conoscenza delle proprietà d’erbe ed essenze facilmente reperibili apparteneva quindi non solo a personaggi illustri dalle doti conclamate di guaritore come sarà qualche decennio dopo Nicola Gambetti, ma anche alla generazione precedente la sua come fu quella cui appartenne Alessandro, Rosa Pacei e Frate Emidio da Fano.

Per completezza di informazioni, interesserà sapere che Alessandro Gambetti fu lo zio del Nicola guaritore, essendo fratello maggiore di Angelo, detto Angelino, residente a Monterotondo, padre del noto personaggio.

Entrambe le case, sia quella di Angelino che quella di Alessandro Sante dovevano essere piene di volumi che, essendo rari, non tutti possedevano. Alessandro aveva una biblioteca di tutto rispetto aperta agli amici[8]: fra gli altri, libri di legge, di poesia ma anche enciclopedie. Non era da meno sua moglie che, oltre a sapere leggere e scrivere, era sorella dell’abate Guido Paggetti, insigne studioso dantesco, nonché cameriere personale del Papa.

Non è quindi escluso che Nicola, nato dopo la morte di Alessandro, per la sua formazione abbia potuto usufruire anche dei volumi prestatigli dalla zia Caterina cui rimase tutta la biblioteca.

Lorenza Bonifazi

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[1] L’ultimo in ordine di tempo è F. Vicini, Il mistero di Gambetti, Aiep editore, San Marino, 2023

[2] F. Vicini, Il mistero di Gambetti, Aiep editore, San Marino, 2023, pp. 61 ss.

[3] Archivio Bonifazi, Faldone 17, cart. 9

[4]  Da una breve ricerca nell’Archivio Diocesano di Fano risulta che Emidio fa parte dell’ordine dei minori osservanti di Santa Maria Nova (san Salvatore) di Fano e ottiene la patente di confessore nel 1815. Nei registri di Santa Maria Nova compare come firmatario di alcuni battesimi dal 1815 al 1816, come economo spirituale e dal 1818 al 1819 come vice parroco.

[5] Archivio Bonifazi, Faldone 17, Cart. 9

[6] Idem: Sig.r Sante P.ne Col.mo ed Amico Carissimo Quando fui destinato da Monsig.r Vescovo a predicare in quest’anno in cotesto paese, questi mi notificò dover in sua Casa ricevere grazie del suo buon cuore. Vedendomi onorato dalla graziosa offerta da Lei fatta, non posso a meno di non anticipargliene i più vivi ringraziamenti, pregandolo altresì di suo compatimento nell’atto, che riverendola di vero cuore con tutti di sua rispettabile Casa, mi dico di Lei Ill.mo Sig.r Sante Umil.mo ed obblig [atissimo] F. Emidio da Fano

[7] Archivio Bonifazi, Faldone 17, cart. 9

[8] Ogni libro della biblioteca era contrassegnato dalla scritta “Alexander Gambetti et amicorum”